L’italiano non mi rende italiana

Tutto è iniziato con “Marina, Marina, Marina. Ti voglio al più presto sposar”, che cantavo da bambina, in modo puramente fonetico. E nella mia mente mi vedevo come una copia della nostra bella principessa Paola seduta sul retro della Vespa con un macho italiano abbronzato. Con tanto di sciarpa svolazzante ed eleganti pantofole italiane.

“Se bastasse una bella canzone”, cantava Eros Ramazzotti negli anni Novanta. E io ho subito comprato un biglietto per il concerto al Forest National, dove ero circondata dall’intera comunità italiana del Belgio. Ha cantato tutto dalla prima all’ultima parola. Appassionatamente, alla luce dei loro accendini. Ho provato anche qualcosa di fonetico, in modo che il loro esotismo afoso si irradiasse un po’ anche su di me.

Una volta, negli anni Ottanta, in un campeggio, ho sentito la voce fumosa di Vasco Rossi spuntare da una radio a transistor. “Siamo solo noi…” Wow! Non avevo idea di cosa cantasse, ma un giorno l’avrei scoperto.

La scorsa vacanza è stato il giorno in cui ho comprato i biglietti per un concerto di Vasco a Bari. Dopo 5 anni di lezioni di italiano, riuscivo a capire il testo, sì anche a cantare il ritornello con cautela. Occhiali da sole rigidi sul naso, anche al buio, colletto dritto, cellulare a portata di mano. Ero pronta.

“Lai la la la la la la fammi vedere. Lai la la la la la la fammi godere” cantava il Blasco. Tutte le donne mostravano con orgoglio il loro seno. Per quanto io faccia del mio meglio in italiano, la lingua non mi rende italiana.

Per quanto mi sforzi di parlare italiano, resterò in disparte e mi godrò tutta l’italianità in tutta la sua passione e afosità.

Jo

Nata in Belgio
Vive in Belgio