Un tragitto introspettivo

Molti anni fa ho letto “Cos’è l’arte?” (What is Art?) di Lev Tolstoj. Lui ha scritto il libro dal punto di vista di un cristiano estremo; quindi, le sue idee sull’arte sono un po’ ristrette. Ciò nonostante, sono d’accordo con alcune sue riflessioni sull’arte. Fondamentale è l’espressione dei sentimenti, e l’arte non deve essere necessariamente bella. È importante che il ricevente dell’arte sia emotivamente commosso dall’opera. Personalmente, credo che la bellezza sia un fattore importante nel mio godimento dell’arte, però, come dicono, “la bellezza è negli occhi di chi guarda”.

Ci sono molti esempi di capolavori che mi hanno colpito; ne prendiamo due molto diverse. La prima volta che ho visto Le ninfee di Claude Monet al Musée de l’Orangerie a Parigi, sono rimasto a bocca aperta. Era una giornata caldo, e in quei giorni, nel museo non c’era aria condizionata. Quando sono entrato la galleria di forma ovale dove si trovano i dipinti murali delle ninfee, ho sperimentato un fresco effetto calmante. Avevo trovato un altro mondo dove il cielo, le nuvole, l’acqua, le ninfee erano in completa armonia, e mi sentivo come se potessi entrare direttamente in questo meraviglioso paradiso. L’ultima volta che ho visto Le ninfee è stato ugualmente gratificante perché pochi anni prima c’era stata una ristrutturazione che ha permesso alla luce di illuminare i dipinti. Mentre il cielo cambiava fuori, le ninfee, l’acqua, e le nuvole nel dipinto cambiavano, come se fossi davvero allo stagno di Giverny. Ero decisamente commosso da questo capolavoro. Il dipinto aveva una bellezza straordinaria e il potere di evocare emozioni.

Quando si pensa delle opere di Mark Rothko, la parola “bellezza” non scivola via dalla lingua. Ma vedere i suoi dipinti del tardo periodo può riempirvi di sentimenti, dalla pace al tumulto. La Collezione Phillips (The Phillips Collection) in Washington, D.C. è il primo museo d’arte moderna negli Stati Uniti dove si trovano opere di Cezanne, Courbet, Bonnard, Daumier, Degas, Matisse, Monet, Picasso, e certamente, Rothko. Nascosto in un angolo del museo c’è una piccola camera dedicata alle opere di Rothko. Ci sono quattro dipinti di Rothko in questa stanza, e solo uno o due persone alla volta sono ammesse. La stanza ha un’aura di riverenza, di silenzio; questa atmosfera schiarisce la mente e trasforma la vostra mente in una tabula rasa.

Prima di frequentare La Collezione Phillips, ho visto dipinti di Rothko alla Galleria Nazionale d’Arte (National Gallery of Art) a Washington, D.C. Gli ho dato uno sguardo per qualche secondo, ma non ho visto nulla di speciale in loro, e davvero non capivo perché i suoi dipinti fossero apprezzati. Sto parlando delle opere in termini generali; ricorda che la maggior parte delle sue opere non ha titoli, invece, sono numerate (Rothko non voleva che i titoli guidassero lo spettatore a una singolare interpretazione). Nella stanza Rothko alla Collezione Phillips, da solo, mi sono detto di studiare i quattro dipinti all’interno per almeno 20 minuti per capire cosa Rothko volesse comunicare.

I suoi dipinti, parlando in generale, consistono di due o tre zone di colore diverse. Molto semplice. E molto complesso. Inizialmente mi sentivo perso, ma poi ho scoperto che a volte i bordi in cui le zone si incontravano erano morbidi e armoniosi, ma in altri dipinti c’era conflitto e turbolenza tra le zone. I miei pensieri si rivolsero all’interno; mi sono reso conto di avere rapporti cordiali e amichevoli, ma allo stesso tempo ho dovuto lottare con altre cose nel mio passaggio attraverso la vita. Questi dipinti scuri mi stavano portando su un tragitto introspettivo; perdersi nell’arte mi ha portato su un sentiero per ritrovare me stesso. Forse questi venti minuti sono i più fruttuosi che abbia mai trascorso in vita mia.

David

Nato negli Stati Uniti
Vive a Washington D.C.