Vivere per lavorare o lavorare per vivere. Un vecchio tema sopra cui esistono innumerevoli adagi. Nella mia lingua (l’olandese) “arbeid adelt” e “werken is zalig”, con traduzione letterale “il lavoro rende nobile” e “lavorare è beato”. Nei campi di concentramento si legge(va) “Arbeit macht frei” (“Il lavoro ci rende liberi”) e nella Bibbia disse l’apostolo Paolo: “Colui che non lavora, non deve neanche mangiare”. E all’inizio Dio disse ad Adamo: “Col sudore della tua faccia mangerai il pane”. Magari esistono anche molti proverbi in italiano o in altre lingue; il lavoro è di tutti i tempi e di tutte le civiltà.
Da noi i politici dicono alla gente che bisogna lavorare più a lungo; sappiamo anche le cattive conseguenze del lavoro come il burnout e lo stress. Siccome la popolazione, soprattutto nel mondo occidentale, diventa più vecchia, i giovani che lavorano, devono mantenere l’enorme numero di pensionati tra cui anche me e mia moglie. Ci sono sfortunatamente persone che provano a fuggire dal lavoro, fingendo una malattia o consumando alla fine della loro carriera i giorni di malattia (soprattutto i funzionari), un fenomeno detto da noi “pensionitis”.
Che pensare del rapporto tra vita e lavoro, tra lavoro e tempo libero, tra lavoro e famiglia? In ogni caso, il lavoro è qualcosa di centrale (o dovrebbe esserlo) nella vita di ciascuno, una sorta di affermazione di sé stessi. Però bisogna trovare l’esatto equilibrio tra lavoro e tempo libero, non facendo danni alla propria famiglia o ai propri cari e senza troppa preoccupazione per il denaro o l’ambizione. Il lavoro dovrebbe essere un servizio alla società senza volerne approfittare davvero. Qualunque lavoro, sia manuale che intellettuale, merita rispetto, che tu stia pulendo i bagni o raccogliendo immondizia, che tu sia un direttore, ministro o professore, almeno se fai del tuo meglio.
Esiste anche il volontariato, persone e organizzazioni che senza profitto, solamente mosse dall’altruismo aiutano i loro prossimi, in circostanze difficili come la guerra, dopo una calamità, nel terzo mondo per i più poveri, come faceva “Madre Teresa di Calcutta”, o semplicemente adesso in organizzazioni sociali. Sfortunatamente quel tipo di impegno diminuisce poco a poco a causa dello stress del tempo libero. Dopo il lavoro molti vogliono guardare quel famoso film, mantenersi in forma in un club di fitness, provare quel nuovo ristorante, unirsi nei social media, portare i loro figli ai loro hobby o alle loro attività, qualcosa che causa lo stress del tempo libero e fa dimenticare i problemi degli altri.
Quanto tempo lavorare o quando bisogna smettere di lavorare? Dipende dalla tua salute, dalla tua motivazione, ma continuare a lavorare fino all’ultimo momento non vale la pena secondo me. Alla TV ho visto un uomo di 71 anni, che ha aperto un “sesso-bar” e che dichiarava di voler lavorare fino alla sua morte, a meno che non abbia la demenza, in quel caso se ne andrebbe… Conosco medici che lavorano con clienti abituali fino ai loro 80 anni, uno addirittura fino ai suoi 89 anni (alla fine aveva bisogno di un autista per visitare i suoi pazienti e alla fine doveva fermarsi a causa di cancro, e qualche mese dopo è morto).
Bisogna fermarsi in tempo, ci sono altre cose oltre il lavoro, nella vita. E io stesso, pur volendo lavorare più a lungo, non lo potevo fare, dalla mia direzione. Quando sapevo che era arrivato il momento finale della mia carriera, ho deciso di godere massimamente del mio ultimo anno attivo come un artista che fa un giro d’addio o come un corridore che vuole vincere assolutamente la corsa e al traguardo i premi vengono distribuiti…, quindi ho lavorato fino all’ultimo secondo. Per festeggiare il mio addio, ho seguito un corso estivo a Perugia dal nostro Ugo e… ho scritto allora un testo sopra il burnout. Bisogna comunque secondo me fermarsi in tempo per lasciare opportunità ai giovani.
Un ultimo pensiero per finire: eroi sono coloro che muoiono sul lavoro, dopo aver dato la loro vita alla patria o agli altri, come un soldato sul campo di battaglia, un vigile del fuoco o un poliziotto. Diventano (per un po’ di tempo almeno!) immortali e ricevano magari una (postuma) medaglia, ma vale davvero la pena rimetterci la vita? Ovviamente alcune professioni comportano rischi per la propria vita, però la vita rimane sacrosanta e così siamo ritornati al principio: “Vivere per lavorare o lavorare per vivere?”
Mathieu
Nato in Belgio
Vive a Tongeren