Sono nel treno da Milano a casa, un viaggio che sembra non finire mai, a causa di un ritardo da non so quante ore per ragioni poco chiare e che non è colpa di nessuno.
Mi sono stancata di leggere e scorrere il telefono, ma non voglio appisolarmi.
Il paesaggio che era ancora affascinante in Svizzera, con aspre montagne, foreste e laghi, diventa meno interessante per non dire noioso con infinite strisce verdi, intervallate dalle fabbriche con camini fumanti.
Le città sembrano tutte uguali con blocchi abitativi e muri coperti da graffiti.
Il treno continua lungo la parte posteriore della vita, troppo velocemente per immaginarmi le faccende quotidiane degli abitanti.
Non ho niente di meglio da fare che osservare il comportamento degli altri viaggiatori. Niente di sensazionale, quindi faccio ancora più attenzione.
Ognuno di noi, che abbiamo lasciato le nostre proprie case per andare da qualche parte, si è installato, come se fosse a casa sua.
Mi accorgo che da quando le persone salgono al bordo, tutte cominciano a fare un tipo di casa per se stessi.
Una famiglia di quattro persone si siede vicino a noi. Il suo alloggio temporaneo consiste in quattro posti a sedere e un tavolino. Il sottotetto viene effettuato con le valigie a mano sulle reticelle, il perimetro della casa diventa visibile dal linguaggio del corpo e gli sguardi verso l’interno.
La madre tira fuori dalla borsa un panno igienico per la pulizia della casa, prima di apparecchiare la tavola. Snack, bevande,tovaglioli. Poi gli essenziali di tutti e quattro: i 4 cellulari. Persino un libro. Di carta.
Ogni membro della famiglia diffonde un po’ di roba personale.
Il figlio adolescente è del tutto comodo con le sue grandi cuffie e la sua musica e si ritira nel suo stanzino privato, nascondendosi nella sua felpa con cappuccio. Tiene le tende chiuse.
La figlia di non più di 13 anni si toglie le scarpe e mette i piedi coi calzini sulle ginocchia di mamma. Poi prende uno specchietto per studiare ogni poro e ogni pelo del suo viso, all’apparenza nel suo posto preferito della casa, il bagno.
Il padre apre il suo portatile per lavoro da casa e ogni tanto lascia la casa per camminare su e giù nel corridoio, telefonando ad alta voce come se fosse così più convincente.
Alla madre appartiene il libro cartaceo. Dopo aver messo il suo telefono nella borsa, si immerge nel libro ed è contentissima. Perché sa da tempo che si può abitare in un libro, e mi riporta alla mente che mi basta poco, posso viaggiare accompagnata da poesie memorizzate.
Per fare una casa
ci vogliono una finestra e un libro
una finestra, un libro e un sogno.
Il sogno può bastare
se i libri sono pochi.
(poesia ispirata da Emily Dickinson)
Renske
Nata in Olanda
Vive in Olanda