Non ho mai sperimentato gravi difficoltà dovute al freddo, come quelle che soffrì il sergente in Russia. Ma ho ricordi speciali dell’inverno del 1954/55, quando avevo sette anni.
Per il mio compleanno mi hanno regalato dei pattini di legno che si devono legare sotto le scarpe con dei nastri arancioni. E ora finalmente era giunto il momento: i prati alluvionati dal fiume Reno erano allagati e l’acqua era ghiacciata.
Il fiume stesso, che scorre sotto il nostro Wageningse Berg, alto 44 metri, era mantenuto aperto alla navigazione da navi rompighiaccio. Non mi ricordo da allora di un inverno così freddo.
Nel cortile della scuola si raccontavano storie sugli eroi delle classi più alte che avevano già pattinato non so per quanti chilometri sui prati alluvionati.
Quando suonava la campanella, non ci mettevamo in fila ordinatamente, classe per classe. No, continuavamo a camminare avanti e indietro, cantando “Alle scholen hebben vrij behalve wij” (Tutti gli studenti hanno un giorno libero, tranne noi) e scandendo lo slogan “ijsvrij, ijsvrij willen wij” (vacanza per pattinare, vogliamo pattinare).
Quel giorno avvenne il miracolo: il preside uscì e disse: “Oggi avete un giorno libero per pattinare.” Tornammo tutti a casa emozionati, compresi il mio piccolo amico Hans e io, che non avevamo ancora mai pattinato.
Mia madre ci diede dei soldi per comprare qualche dolcetto, esortò mio fratello maggiore a prendersi cura di me, e via, giù dalla montagna verso i prati. Quando ci siamo arrivati, i più grandi hanno aiutato i più piccoli a mettere i pattini e poi loro sono spariti subito, lasciandoci in imbarazzo. Hans e io avanzavamo trascinando i piedi sui pattini. Non abbiamo fatto altro che cadere sul ghiaccio freddo e rialzarci con difficoltà. I pattini si sono allentati sempre di più. Dopo un po’ non eravamo più in equilibrio su di essi, ma i pattini si trovavano allora contro il lato delle scarpe. Le manine erano doloranti nei guanti di lana inzuppati. I fratelli non si vedevano da nessuna parte. Vedemmo sfrecciare sui pattini una compagna di classe, trascinata dalla madre. I nostri genitori non c’erano. I padri erano in ufficio e le madri erano a casa sedute accanto al fuoco.
A proposito, mia madre non sapeva cosa si provasse con quel vento gelido che ululava sulla nuda pianura ghiacciata. Quanto era diverso dai suoi racconti sul tempo in cui lei era piccola: un’infanzia tropicale piena di avventure, sperimentate nelle ore più calde della giornata quando mia nonna faceva un pisolino pomeridiano.
Pensandoci non riuscivo a trattenere le lacrime e questo non faceva che peggiorare la situazione. Fortunatamente la salvezza era vicina. Con un forte rumore di raschiamento, l’insegnante della classe di mio fratello si fermò all’improvviso proprio davanti a noi.
“Quindi, tutta sola?” ha detto. “Sono con Hans, mio fratello è laggiù”, risposi, indicando in lontananza. “Dai, alza il piede e ti aiuto.”
Così fissò saldamente i pattini, prima a una delle mie scarpe, poi all’altra e infine a quelle di Hans.
“Ora fai del tuo meglio e divertiti!”
Per un po’ abbiamo pattinato coraggiosamente sui pattini ormai saldamente fissati. Fu così che finimmo davanti al “Koek en zopi” (tenda di biscotti e bevande calde), dove bevemmo la cioccolata calda più deliziosa della mia infanzia.
Se tremassi dal freddo nelle trincee invernali, penserei con nostalgia ai primi sorsi di quel cioccolato che scorreva beatamente nel mio corpo. Immaginerei anche il bellissimo paesaggio fluviale idilliaco, ma allora in una stagione più calda. La stagione in cui i fossi e le pozze che rimangono dopo che l’acqua della stagione invernale si è ritirata, pullulano di coleotteri acquatici, salamandre e altre creature acquatiche. Da casa nostra in una sera d’estate, quando c’era vento da sud, si potevano sentire muggire le mucche nelle pianure alluvionali. E così si udì anche il rumore del traghetto che attraccava e con un forte botto abbassava il portello attraverso il quale i passeggeri lasciavano la barca. Ovviamente penserei anche all’odore della resina, perché mio padre, specialista di conifere, aveva piantato tutta la zona con essa. Ma soprattutto: penserei alle persone con cui avevo vissuto tutto questo.
Anneke
Nata in Indonesia
Vive a Den Haag